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Eroi o codardi? Perché è così difficile cambiare

Cambiare è difficile, lo è per tutti. Uscire dalla famosa zona di comfort, trovare il coraggio di ottenere quel lavoro, di cambiare casa, di aprirsi a un nuovo amore o di lasciare andare. Pensiamo di sapere quello che vogliamo, ne siamo consapevoli, ma non possiamo farlo. Ci costruiamo il nostro carattere nel tempo e questo diventa la risposta più adattiva ed efficace che conosciamo per rispondere all’ambiente. Non è utile, dunque, vedere la nostra incapacità di cambiare come un fallimento o un essere da meno. Bisogna che impariamo a conoscere e amare le nostre difese. Ci hanno salvato la vita a suo tempo. E un terapeuta questo dovrebbe saperlo e dovrebbe poter riconoscere che non tutte le persone sono pronte ad assumersi il rischio che un tale cambiamento implica. ” Uscire dal carattere” – dice Lowen “è come nascere o, per meglio dire, rinascere”. Per un individuo consapevole è un passo che fa molta paura e appare molto pericoloso.

Cos’è che blocca le persone a vivere una vita piena e impedisce loro di imparare dalle esperienze?

La psicoanalisi si interroga su questo dilemma fin dai suoi albori; Frued lo espose già nel 1920 nella sua opera Al di là del principio del piacere. Fino ad allora Il pensiero di Freud era fondato sulla convinzione che fossero due i principi che potessero spiegare tutto il comportamento umano: il principio del piacere e il principio di realtà. Il principio di piacere stabilisce che ogni persona, nella sua vita, si adopera in ogni modo per raggiungere il piacere ed evitare il dolore e la sofferenza. Secondo il pensiero di Freud questo è un principio primario nell’uomo, che ne definisce il funzionamento psichico. Accanto al principio di piacere, esiste un secondo principio, chiamato “di realtà”, il quale spiega perché una persona sia in grado, talvolta, di sacrificare un piacere o tollerare un dolore, in vista di un piacere più grande in futuro oppure per evitare, in futuro, un dolore più grande. Tuttavia, nel corso della sua attività clinica, Freud si accorse che questi due principi non erano in grado di spiegare tutto. Molti pazienti, infatti, nonostante il trattamento psicoanalitico, non riuscivano ad abbandonare il loro comportamento nevrotico e tornavano sempre a ripetere gli stessi errori e a ripetere le stesse esperienze insoddisfacenti. E’ su questo punto che inizia a riflettere sul principio di morte e a postulare l’esistenza di un terzo principio negli esseri umani, ancora più elementare e pulsionale, che porterebbe alcune persone a rinunciare al piacere e al viaggio della vita per tornare alla stabilità e alla pace dello stato inorganico della morte. Solo attraverso la postulazione di questo principio di morte Freud era riuscito a spiegare il fallimento terapeutico e l’impossibilità, per molte persone, di cambiare.

Il pensiero di Lowen rifiuta questa spiegazione. La prima ragione è perché non condivide che il fallimento terapeutico con un paziente si possa spiegare con l’esistenza di misteriose tendenze masochistiche dell’Io.

La seconda ragione, che dimostrò con l’esperienza clinica, è che il comportamento masochista non può rappresentare una voglia di soffrire, ma nasce piuttosto dalla paura del piacere. Queste tendenze, secondo Lowen, esistono certo, ma non hanno una natura misteriosa; sono, invece, il risultato di tensioni muscolari che limitano l’auto espressione dell’individuo. La struttura caratteriale che ne risulta rappresenta la posizione difensiva che l’individuo ha trovato nella lotta contro la sopravvivenza. La sua sopravvivenza. Ma lo sforzo e la volontà che richiede questa lotta impegna così tanta energia che l’auto espressione risulta difficile, se non impossibile, poiché costituisce una minaccia per la sopravvivenza.

Quando una persona sacrifica il proprio diritto all’auto espressione nell’interesse della sopravvivenza, la sua sopravvivenza stessa è messa in pericolo, non dall’esterno, ma dall’interno; il significato della vita è perduto.

Cosa si intende in bioenergetica per auto espressione?

Usando le parole di Lowen, “l’auto espressione rappresenta la manifestazione diretta e immediata dell’energia presente in un individuo, è l’equivalente della piena espressione della vita, e una vita che non venga pienamente espressa non è vissuta. Comprende tutte quelle modalità attraverso le quali un organismo individuale afferma la propria presenza nel mondo. E’ una funzione del corpo, dato che siamo nel mondo perché abbiamo un corpo. Fantasie e pensieri non costituiscono, quindi, delle forme adeguate di auto espressione fin quando non si sostanziano in qualche azione corporea, sia essa espressione verbale, un movimento o uno sguardo. E più le azioni sono spontanee più sono espressive”.

Solo se perdi la tua vita la ritroverai


Articolo a cura della dott.ssa Elena Casoli
Psicologa psicoterapeuta a Reggio Emilia

Dott.ssa Elena Casoli
Psicologa e Psicoterapeuta

Reggio Emilia

Iscritta all’Albo Professionale degli Psicologi della regione n. 5270
Laurea magistrale in psicologia nel 2004 presso l’Università degli Studi di Padova
P.I. 02432700355

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